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02/04/13

"Enrica Loggi in tenero distacco" di Maria Lenti


Tentare il senso del titolo (…A una rima di vento di Enrica Loggi): il gioco nell’enigma.

Virato e posto sull’astrazione di una figura: “rima” come refolo, soffio, alito? “vento” come scombinata possibilità o scompigliata probabilità? “rima di vento” come andamento giocoso in chiaroscuro, come flusso di energia duplice e concreta? E quella “a” preceduta da sospensione: una dedica? un pensiero in catena ma in folle tenerezza?

I testi poetici – alonati di vaghezza, fissati dall’autrice picena su stilemi, già ricorsi in raccolte precedenti, con variazioni (luna e suoi addentellati, acqua e suoi referenti, sole e sua luce di riscatto, foglie/alberi di intenso simbolismo, amore/amicizia/sodalità-unica salvezza al mondo-, solitudine/sola beatitudine nel deserto della città, l’estate-stagione solare, ecc.) –, se chiariscono le prensioni, restituiscono lo slittamento da esse.

Nel distacco tra i due termini si situa la poesia di Enrica Loggi: in un terreno le cui sporgenze – la fine delle cose, la vita che ti “frega” anche saltandoti e accelerando i passi, le assenze numerose e in progress – rientrano in interiori animi a cercarvi ciò che resta, meglio ciò che mai se ne è andato; in un ambito che non “tradisce”, essendo quello proprio di un sentire finissimo; in una distanza non sibillina, significativa, dalla storia minuscola e grande per ricaptare le urgenze feriali – il sabato del villaggio improponibile al proprio sé –, un abbraccio improvviso non sotto l’impulso della gratitudine quanto dell’affetto, la scoperta ripetuta del fiore che sale, l’incontro di un corpo forse non “gemello” eppure caldo di reciprocità.

Così, per esempio e passim:
«Mi raccolgo nel letto della foce /il fiume va tremando verso il mare / sola come la sera dei miei giorni / l’estate padrona di me.»

«L’assolo pungente della storia / le minuzie di vita. Resta il canto / questo piccolo affanno / di gesti quotidiani, averti stretto / a me nelle abitudini del cuore, / la prosa che si tesse / nell’assolato labirinto / per uscire alla luce , appena salvi.»

«Sono qui sola e parlo / con gli ultimi fantasmi delle ore / ma raccolgo il loro merletto / scendendo i gradini della sera.»

«Il vento che si piega sui germogli / il verde giovane dove indovini / la prima età del grano, e un giorno arduo / ma capace di gioia sotto il sole, / il vento in una raffica gentile.»

Vive in suo tempo di sogno e di sogni, la poesia di Enrica Loggi, o tende a sfidare quel tempo e il nostro di prosa? Il rischio del fermo-immagine nella voce, mai contaminata dal presente poco attraente e risuonante nella inversione sottesa, potrebbe determinarsi o farsi ad ogni momento.
Consapevolmente, tuttavia.

Mala tempora currunt, lo so, sembrerebbe dire silenziosamente la poetessa. L’accenno, infatti, è in spostamento, mentre situa tonalità e cadenza dentro una sorta di passione per la luce dell’esistenza, mai spenta, in una serenità da eco classica (per misura e timbro) e in una sorta di desiderio di essere dove non si trova (non nominandolo, peraltro, questo luogo lontano dal suo cuore). E fa agire, oltre al ritmo e all’accento, i singoli elementi della phonè, reiterando sillabe di uguale suono e durata, appunto. Come nelle assonanze degli stralci citati: so (la), se (ra), me; (racc) ol (go), (f) oc (e), (gi) or (ni), (padr) on (a), (tr) em (ando), (c) om (e), (fi) um (e), …

…A una rima di vento, allora, spiazza, sorprende: sia il lettore che preferisce trovare nella poesia la sottolineatura di mali e malanni attuali perché chiede alla poesia conferme, solidarietà contro la deriva, una civile indignazione apertis verbis, sia il lettore che nella poesia vuole complicità della fuga e della sua attesa, quella del bene stare indotto dal pensiero altro rispetto all’intorno ma senza rasentare la sfera dell’impossibile o del déja vu.

Entrambi spiazzati. La denuncia è nell’assenza degli orrori, della contrarietà ad essi: il tacerli è una “punizione” nei loro confronti? Può darsi. Entrambi sorpresi: la fuga è nella presenza di “paesaggi” (dello spirito) non rimossi nonostante le dilapidazioni e lo scialo. Valgono come risarcimento e proposta? Forse sì.

“Il vento”, nell’una e nell’altra modalità e virgolettatura, ne è il risultato e viene inserito in “rima”. Un vento che è tanta parte della vita di ciascun e ciascuna vivente: reale e metaforico per chi abita al mare e per chi abita in collina, in montagna; per chi ha nella vita movimenti sul “no”, per chi – nella vita – segue il corso lieve del “sì”, nelle somiglianze e nelle simbiosi, nelle diversità e nell’incessante andirivieni di strade conosciute perché mai differenti: la natura, i sentimenti, l’etica dei valori. («Camminiamo di nuovo come pietre / che una piccola frana scatena nella valle / e un nostro accento si schiude / allo sguardo veloce, / al silenzio di chi ci passa senza voce accanto.»)

Piccola, grande verità. “Il massimo di verità (espresso) con il massimo di pudore”: questo “il respiro del verso” di Enrica Loggi. Franco Manescalchi ad apertura del libro (edito da Polistampa, 2012, arricchito di tre disegni vibranti di Giancarlo Orrù ne individua le caratteristiche.


1 commento:

Michaela ha detto...

stupendo.
michaela